martedì 12 settembre 2006

La stella che non c’è

Ognuno di noi sta cercando la sua stella che non c’è
Ognuno di noi ha "una stella che non c’è" da cercare.


La stella che non c’è
Volevo raccontare la storia di un uomo speciale che non se ne vedono più, non un omo comune che magari non si rassegna al destino comune, subisce lo scacco del licenziamento, ma rilancia la propria esistenza. Ha un bisogno morale che lo spingerà, ma poter pensare che la sua vita possa prendere una linfa diversa, trovare delle ragioni per sopravvivere, o si abbandona alla disperazione o fa un colpo di testa. Gianni Amelio

A questo punto se fossi una di quelle brave ragazze, che sanno scrivere bene, che al liceo prendevano sempre 8 del tema di letteratura, se fossi questo tipo di persona vi racconterei la trama per benino, stile rubrica di recensioni cinematografiche, come ce ne sono tante nei blog in giro per internet.

Vi spiegherei che questo film racconta la storia di Vinvenzo Buonavolontà, ed è la continuazione del libro La dismissione di Ermanno Rea. Un uomo con la mani rovinate e sporche di olio, con i vestiti che puzzano di ferro e grasso di ingranazzi, con una borsa usurata da 30 anni di vita nell’acciaieria, con la voglia di fare bene il suo lavoro, la morte nel cuore per il suo lavoro che non c’è più e l’incubo della disoccupazione quando si sente ancora giovane e forte per essere messo in un angolo, enormi occhi che sanno di ferro vecchio e ruggine, e una idea che sa del fuoco dell’altoforno, mani operaie che costruiscono, solitudine e una casa vuota che lo aspetta alla fine della giornata.

Che parla di un ragazza cinese, Liu, impacciata, che fa da interprete per i compratori cinesi, ma che è come l’acqua cheta che butta giù i ponti.
Vi spiegherei che parla di un bimbo dolcissimo di 2 anni, che appena lo vedi correresti ad abbracciarlo, di quelli che sono tristi, perchè non hanno una mamma vicino, ma che sanno sorridere e sanno aprirti il cuore, con la stessa facilità con cui imparano a montare e smontare una centralina idraulica. Vi spiegherei che parla della ricerca di un altoforno finito nella Cina sterminata e una centralina idraulica difettosa da sostituire. E vi spiegherei che parla di trovare la “nostra propria” stella che non c’è.

E INVECE VI RACCONTO CHE... è stato un film che mi ha dato tante emozioni.
Vedo Genova. Riconosco il palazzo storico e la strada, c’è quella strana atmosfera di Genova quando piove.
Riconosco nel panorama, le torri di metallo che si vedono passando da Cornigliano in treno, e che mi fa pensare a tante volte che tornando dal mare ho visto i capannoni e tutte quelle costruzioni di acciaio.
Riconosco il panorama di Genova in autunno, con le case che si arrampicano in collina e il porto darsena che scivola verso il mare.
Riconosco un accenno di sorriso che ha anche Ernesto e che mi rende Vincenzo immediatamente simpatico.
Trovo la vecchia macchina da cucire, che abbiamo ancora in casa, acquistata da mia nonna. L’immagine è per me una gioia del cuore e un mare di ricordi.

Forse essere un grande regista vuol dire questo.... con pochissimo far capire delle cose immense. Condensare tutto in poche parole, in un’associazione d’idee, in una sensazione, in un silenzio. Il tutto dentro il piccolo. Piccolo che quando lo capisci si espande ed esplode in un big bang dentro la tua testa. Forse questo significa essere un grande resista.

E ti fa capire che essere spettatore significa accettare di sentirsi cambiato quando si riaccendono le luci in sala.

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