lunedì 25 settembre 2006

C'era una volta il cinema italiano

C’ERA UNA VOLTA IL CINEMA ITALIANO
“Eravamo i migliori, adesso siamo i peggiori”, dice il critico, “I nostri registi raccontano solo storie deprimenti. Ma noi non siamo così”.


Sulla copertina del nuovo Farinotti 2007, il dizionario di tutti i film curato da Pino Farinotti, fa bella mostra di sé il sorriso beffardo del "pirata" Johnny Depp. Perché non ha scelto un film italiano? "Perché altrimenti non venderei neanche una copia del mio libro". Non usa mezze misure, Farinotti, per fotografare lo stato di salute del cinema italiano."Eravamo fra i più bravi al mondo, ora siamo tra i peggiori. Dagli anni '70 il nostro cinema si è involuto. La vena creativa dei nostri grandi registi si è gradualmente esaurita e non c'è stato un ricambio".

-L'involuzione, secondo lei, ha riguardato anche i contenuti?
"La maggior parte dei film mostra un'Italia depressa. Sono costruiti su modelli ormai consolidati: la famiglia disastrata, l'extracomunitario che deve sempre essere buono e perseguitato, il gay rappresentato come il personaggio più dotato di umanità. Prendiamo Lettere dal Sahara, l'ultimo film di Vittorio De Seta: è la storia di un senegalese che vive la difficile condizione di clandestino. Il problema è che questo personaggio è bello, intelligente, colto, sensibile, talmente perfetto che non rappresenta la realtà. La bontà del messaggio che si vuole trasmettere, il rispetto verso i più deboli, viene così vanificata da questa ossessione verso il "politicamente corretto" tipica dei nostri registi".

-Nel libro lei scrive che i film dovrebbero servire "a stare meglio". Ma nella grande tradizione del cinema italiano ci sono anche pellicole "disperate", penso a Umberto D di Vittorio De Sica, che pure sono dei capolavori assoluti. Il cinema dovrebbe rinunciare a denunciare i mali della società?
"No, ma dietro quei film c'era un'estetica, una poesia che hanno fatto scuola nel mondo. Visconti, Rossellini, De Sica, Antonioni, Fellini non sono registi, sono artisti in senso assoluto: tutti i fotogrammi di Paisà si possono tranquillamente esporre in un museo".

-Lei non è molto tenero neanche nei confronti dei suoi colleghi...
"I film vengono "disossati" dai critici prima dell'uscita e quando poi vai a vederli hai già la testa piena di pregiudizi. Non c'è più il piacere della sorpresa".

-Nel libro confessa la sua nostalgia per la mancanza nei film moderni di "eroi" alla John Wayne. Perché?
"Mi facevano sognare, questi uomini onesti, che lottavano senza ottenere nulla in cambio. Gli eroi dei film di oggi, penso a Russell Crowe o a Tom Cruise, sono di plastica, senza identità".

-Ma mostrare anche le debolezze dell'eroe, e quindi riuscire a umanizzarlo, non è un fatto positivo?
"Il regista Jean-Luc Godard diceva che il cinema non deve rappresentare la realtà, ci
deve essere un valore aggiunto che secondo me è l'eroe. L'eroe è l'esempio, grazie a
lui possiamo sognare. Purtroppo, oggi domina un altro modello di attore che interpreta personaggi tormentati, perdenti, perfetti per quei film minimalisti, eprimenti, prodotti dal nostro cinema. Penso a Silvio Orlando o a Luigi Lo Cascio; e anche all'ultimo Sergio Castellitto".

-Secondo Pietro Valsecchi, il produttore televisivo che all'ultimo Festival di Venezia ha presentato Non prendere impegni stasera, la televisione oggi è molto più vitale e ricca di idee del cinema. È d'accordo?
"In buona parte, sì. Gli eroi ormai sono quasi solo in Tv, penso a serie come Montalbano o a fiction come Perlasca. Quasi tutti i film italiani vengono finanziati dallo Stato. Quindi, se poi vanno male, a parte i contribuenti, non ci rimette nessuno. Ettore Scola, per esempio, è da vent'anni che non azzecca un film di successo, ma continua a farli perché è un nome nella nostra cinematografia. In Tv tutto questo non vale: se produci uno sceneggiato in 10 puntate e le prime due vanno male, lo cancellano subito. Per questo motivo c'è molta più cautela da parte dei produttori".

-Tra i film italiani più recenti non salva proprio nessuno?
"Romanzo criminale di Michele Placido, proprio perché non sembra un film italiano, ma un gangster movie americano. È fatto molto bene, i personaggi hanno tutti le facce giuste, da Kim Rossi Stuart a Riccardo Scamarcio e a Pierfrancesco Favino. Trovo poi molto interessante il caso di Notte prima degli esami. Una piccola storia di studenti, senza grandi pretese, l'abbiamo bevuta come l'acqua fresca. Per risollevarsi, il cinema italiano deve smettere di proporre storie così "cattive" e recuperare la sua dimensione etica. Gli italiani sono molto migliori rispetto a come vengono rappresentati".

(Famiglia Cristiana del 12/09/2006)

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